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Categoria: Calcio a 11
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Il pallone nella palude: storia e leggenda di come arrivò la prima sfera a Borgo Hermada

Questa è una storia rimasta celata negli scrigni della memoria famigliare e comunitaria per decenni, uno di quei racconti impregnati di romanticismo ed epica. Una storia che parte da lontano, dalle trincee della Grande Guerra e dal coraggio di chi si lanciò sotto le mitragliatrici austriache per difendere - ancor prima che la Patria in pericolo - la propria terra, la propria famiglia.

Una storia venuta alla luce grazie alle ricerche del giornalista Renato Di Bella e il "rimorso" del co-protagonista. Una storia di uomini e pallone, fideistica appartenenza e voglia di riscatto, redenzione e sconfinata passione. Una piccola grande storia dell'Italia profonda e rurale dell'epoca, inserita nel microcosmo nell'epopea bonificatrice degli 30'.

DAL FRIULI CON FURORE VERSO LA "TERRA PROMESSA"

Sconfitti gli ingombranti vicini austriaci nel primo conflitto mondiale, la "vittoria mutilata" dell' Italia non cambiò radicalmente le condizioni della popolazione, "tradendo" le promesse pre belliche e di "rinascita" e cambiamento radicale delle misere condizioni di vita sopratutto di contadini ed operai, impegnati in prima linea e con il più alto tributo di sangue versato vicino ai monti e i fiumi ribattezzati "sacri alla Patria".

Nel convulso ed enigmatico contesto post bellico, l'avvento del fascismo e il successivo rafforzamento dell'"Opera Nazionale combattenti" aprirono uno spiraglio per migliaia di ex soldati, soprattutto delle zone ferraresi e friulane. Il regime, infatti, attraverso la monumentale opera delle braccia giunte dalla palude padana, bonificò i territori a sud di Roma dominati per secoli dalla malaria e dalla morte, e decise di offrirli proprio ai coloni arrivati dal profondo nord, creando una sorta di enclave ferrarese, veneto e friulano in un territorio "ostile".

IL TRENO HA FISCHIATO, IL PALLONE E' PARTITO

Prima della partenza per Littoria, però, la digressione storica ci porta a scavare a fondo nelle vicende che precedettero l'arrivo del pallone nei territori redenti. Il co- protagonista, Ernesto Bagnariol, partì della sua città, Le Stans (frazione di Sequals, paese che diede i natali al campione di boxe Primo Carnera), insieme a cinquanta famiglie con un treno speciale. "Negli angusti scompartimenti mangiavamo polenta fritta col formaggio, sorseggiando vino e "sgnappetta" di grappa, cantando le villotte friulane come "O ce biel ciastiel a Udin"e o "Ce biela zoventù" - scrisse nelle sue memorie lo stesso Bagnariol.

La numerosa famiglia contadina dei Bagnariol, da sempre alla ricerca della fortuna in giro per l'intero stivale, prese il treno dei "sogni" e si diresse verso Littoria. Papà Osvaldo e mamma Alba cercavano un futuro migliore, per loro e per gli otto figli. E così partirono il 4 novembre, anniversario della vittoria, portandosi dietro quindici galline e un maiale. E un ospite inatteso e "clandestino", nascosto "in un ammasso di bagagli, persone ad animali che attraversavano il paese per conoscere un nuovo destino".

IL "DELITTO PERFETTO" TINTO DI VIOLA

Nel nostro racconto il protagonista si materializzò in un'afosa giornata estiva, nella ridente località friulana di Tarcento. Ernesto, infatti, assiste - come da rituale consumato - ad ogni sessione estiva del ritiro della Fiorentina, presieduta all'epoca dal conte Luigi Ridolfi. Proprio la calorosa accoglienza della gente del posto indusse il presidente Ridolfi a rinnovare anno dopo anno la scelta di alloggiare a Tarcento, accendendo gli entusiasmi dei fanciulli, inebriati e sorretti dalla passione pallonara, medicina necessaria contro la miseria dilagante e il futuro nebuloso.

E proprio qui entrò in scena l'attore principale, ovvero il pallone, sottratto magistralmente e furtivamente dai piedi di Pitto e del campione uruguagio Petrone (già giustiziere dell'Italia nelle olimpiadi del 28') da "ignoti" appostati dietro la recinzione del campo di gioco e spedito sul treno per Littoria come un pacco postale.

"Sequestrato" e donato a un carceriere d'eccezione: il giovane Ernesto Bagnariol, futuro colono che diede inizio - a sua insaputa - alla storia del calcio nel borgo che prese il nome del glorioso monte Ermada. "Portalo con te - gli dissero i giovani - per noi è diventato troppo pericoloso".

L'ETERNO RIMORSO DEL PIONIERE

Il pallone giunse a destinazione nel tardo pomeriggio del 5 novembre 1934, "mentre tutti i nasi erano spiaccicati contro i vetri dei finestrini, a guardare in un silenzio malinconico quella terra promessa così strana e diversa da quella che lasciata". La famiglia Bagnariol trovò ad attenderla un cugino, Giovanni Gasparotto, che fece quaranta chilometri in bici pur di riassaporare la cadenza del proprio dialetto e il calore del sangue friulano.

Ernesto, invece, conobbe immediatamente un appassionato di calcio che, alla vista del cuoio sferico, cadde come rapito da ipnosi ammirando questo oggetto misterioso e - fino ad allora - inarrivabile, che avviò l'attività agonistica del calcio nel nuovo borgo. Ernesto Bagnariol oggi non c'è più, ma il rimorso per il "rapimento" del pallone sembrò averlo tormentato per l'intera esistenza. "Non dovevamo farlo - ammise alla soglia degli anni 2000 - non è stata per nulla una buona azione verso chi si era sempre dimostrato gentile con noi".

Negli ultimi anni tentò di rimediare alla "malefatta" cercando contatti con i rappresentati della Fiorentina presenti a Sabaudia per degli stage formativi con i giovani, non trovando mai il coraggio per confessare il fulmineo e datato rapimento.

Un gesto d'amore verso la propria comunità intriso di romanticismo e spirito di appartenenza, valori che fecero da collante per tutti i coloni scesi in palude con la valigia piena di sogni e la speranza di una vita migliore.

Con una eccezione, quella del piccolo Ernesto, che oltre ai sogni, nella sua valigia mise dentro anche un ospite destinato a riscrivere la trama del nostro romanzo. Una piccola grande storia di uomini e pallone destinata a segnare in modo indelebile un lembo di terra e la sua gente.

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